Sintonizzarsi sull’udito


C’è un certo pregiudizio visuale insito nella cultura occidentale. La società è stata colpita dal “morbo del corpo”.

Questa metafora può aiutare ad intercettare una eventuale sintassi che delinea la circostanza spaziale del mondo sociale, quello a cui io tendo con più attenzione nella riflessione comune. Sebbene la gestione dello spazio sia la prima “cavia” della manipolazione visiva della realtà, essa è in secondo luogo un riflesso di una percezione culturale della comunità relazionale.

Qualcosa ha prevalso nell’organizzazione del nostro apparato sensoriale, prediligendo la vista agli altri sensi corporei.

Esistono schemi linguistici e comunicativi a cui non diamo molto peso che si basano sull’udito e sull’utilizzo dell’onda sonora, cooperando con la musicalità corale dell’ambiente naturale, degli spazi sociali e dunque delle voci, delle intenzioni rapprese nelle traiettorie aeree del dialogo. Ciò è importante, poichè conoscere il mondo attraverso il suono è fondamentalmente diverso dal conoscerlo attraverso la vista. Ed il suono è lo stimolo più efficace provato dagli esseri umani, e al tempo stesso il più evanescente.

L’educazione al suono è una porta verso l’educazione all’ascolto e viceversa. Introduce alla capacità di discernere le informazioni e dirigere la propria intenzionalità nel mondo con una certa armonia spaziale.

In qualche modo aiutarsi a liberare la propria percettività dai confini angusti del linguaggio verbale, che è visivo nel suo utilizzo e bidimensionale, può stimolare una trasversalità sonora e facilitare il dialogo ad una possibile nuova traiettoria inclusiva delle diversità.


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